vi propongo un articolo apparso sul mitico Bollettino FIMF qualche anno fa.
Ve lo dedico, un po' per ringraziarvi per la solidarietà dimostrata nel periodo difficile che ho attraversato con il mio lavoro e un po' per tentare di farvi comprendere quale e quanta sia la passione che mi anima.
Spero vi piaccia.
Buona lettura.
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Involontariamente, schiaccio il tasto dei ricordi, lo faccio spesso, non per niente è quello con la scritta più consumata. Ce ne sono molti di ricordi, tutti collegati, più o meno, ad un evento che lo ha inchiodato nel cervello e che, quando meno te lo aspetti, nell’infinito random di pensieri che attraversano la mente, ti si visualizza in quella specie di schermo, con tanto di effetti speciali, surround 5.1, che abbiamo, situato chissà dove, dentro di noi.
Metto in ordine il banco di lavoro, c’è polvere di ottone un po’ dappertutto, limatura di stagno e di piombo, lime vicino al trapano, punte e cacciaviti, rimasugli di plastica, pezzi di filo elettrico, colle in tubetti aperti con i tappi dispersi, scatoline con minuterie varie e qualche piccola vite, insomma, un bel casino!
Metodicamente, cerco di rimettere ogni cosa al suo posto, il ricordo intanto continua a scorrermi dentro con immagini che erano state memorizzate, ma che non ricordavo più.
Finisco, dopo un bel po’ che armeggio con scatoline e cassetti, do una spolverata con un pennellino al trapano a colonna, alla morsa ed al banco stesso, metto via il tester e i suoi cavetti, lo stagno e la scatolina di pasta salda, tutte le pinzette del set chirurgico-modellistico.
Il mio stanzino/laboratorio, ora, è in ordine.
Lascio lo spezzone di binario per le prove dei modelli e mi trasferisco nel corridoio dove ha trovato posto il plastico, e lei è già lì. A proposito, lui o lei? Non mi ero mai posto il problema, ma mi piace immaginare che sia una lei.
Mi piaceva e me la sono fatta! Come dite? Sto scadendo nel volgare? Macchè. Ma che avete capito!
Si tratta di una locomotiva, ed il “me la sono fatta”, sottintende che me la sono costruita; la desideravo da tanto, ed ora, finalmente,è lì, sul secondo binario della stazione, con la sua figura di “primadonna” di altri tempi, quando i treni importanti e prestigiosi erano tutti suoi. Ed è pronta a partire.
Prendo il W.A.C. tra le mani e do tensione; il led rosso che segnala la direzione non è ancora acceso. Giro il morbidissimo potenziometro e, lentamente, la loco comincia a muoversi.
Perfetto, minimo a passo d’uomo; provo nell’altra direzione, stessa velocità, il motore gira bene, si sente. Non ci sono impuntamenti e l’avere evitato le linguette sulle facce interne delle ruote, ha dato i suoi frutti, non ci sono grosse resistenze e questo va a vantaggio della trazione di qualche carrozza in più e della scorrevolezza.
Aumento la tensione,la loco risponde ed aumenta di poco la velocità. La scena è molto realistica, e provo una sensazione di soddisfazione notevole; chi autocostruisce può capire.
Fermo la loco, e quel pensiero lontano, mentre aggancio sei carrozze tipo X, si fa più nitido, più chiaro, e la scena di me, davanti a un treno appena arrivato, nella stazione di Santa Maria Novella ormai sembra quasi realtà!
Sono con Paolo, il mio migliore amico di allora, bassista lui, batterista io, sempre insieme, a scuola, nel gioco, sul palco e ... alla stazione. E’ un pomeriggio di marzo.
Appassionati, oltre che di musica, di treni e modellismo, e siamo là, tra il binario 10 e l’11, quelli dove arrivano di solito, gli espressi. Stiamo lì, estasiati davanti ad un Caimano. E’ il ’79, ho 15 anni, e il 656 è praticamente una novità per noi che non possiamo andare spesso alla stazione.
Mentre osserviamo attenti i carrelli, sentiamo una voce che ci chiama. Alziamo gli occhi, un po’ preoccupati, e vediamo che il macchinista ci fa un cenno con la mano. In una frazione di secondo temiamo che ci voglia allontanare per qualche motivo, poi, incredibilmente, vediamo che la mano non sta compiendo un gesto di allontanamento, ma ci sta invitando; invitando a salire?!? Ci guardiamo negli occhi, ed un secondo dopo siamo già in cabina. L’emozione è grande, l’adrenalina è a mille. Osserviamo tutto; il macchinista ci spiega qualche comando, vede che siamo abbastanza preparati, ma io sono in estasi, e non sento nulla. Sento però l’odore dei motori; quel misto di grasso e ozono tipico dei locomotori elettrici e poi guardo dai finestrini frontali. Che spettacolo!!
E’ una vista che non mi capiterà più, nella vita, anche se allora non lo sapevo.
Ringraziamo il gentile macchinista e, appena scesi, vediamo che sul binario 10 è appena arrivato un treno con, alla testa, una E428 con cabine semi-aerodinamiche che conoscevamo per averlo visto sui cataloghi Rivarossi e, raramente, dal vero.
Un sogno per noi, e per me in particolare, che già a quell’età avevo, con i mezzi in castano-isabella, un feeling particolare.
Ci inchiodiamo di lato al locomotore che si allinea al Caimano, e vediamo che i due macchinisti si salutano amichevolmente. Con un cenno, quello del Caimano, fa capire al collega di farci salire un po’ in cabina, e l’altro acconsente di buon grado. Si guarda intorno per vedere che non ci sia qualche superiore in “agguato” e ci sollecita a salire in fretta. Non ce lo facciamo ripetere due volte, in un lampo siamo in cabina.
Qui l’odore del “mostro”, è ancora più forte, la cabina ha un aspetto consunto.
In tutte le leve, i pulsanti e le manopole si notano i segni del tempo; c’è meno luce all’interno, rispetto all’E656, ma qui c’è tutto un altro tipo di fascino, una sensazione difficile da descrivere.
Sento l’elettricità tutta intorno a me; avverto la potenza di quei motori che sono lì, qualche metro dietro di noi, anche se momentaneamente fermi. Li immagino enormi, come enormi sono le ruote che qualche istante prima stavamo osservando dal marciapiede. Enormi e strane, con tutti quegli intrighi metallici in vista, quei tamponi e quei dadi. Veramente affascinanti. Tanto affascinanti da lasciare un ricordo nitidissimo ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni da quel giorno.
Ricordo benissimo, per esempio, di come mi sentivo, una volta sceso da quella cabina, e di come avessi l’impressione, dopo essere stato lassù, di sentirmi piccolo piccolo su quel marciapiede della stazione, in confronto a quel “bestione” di locomotore, con i suoi 135.000 chili.
Mi accorgo di stare fissando il muro bianco, poco più in alto del plastico, là dove dovrebbe esserci un fondale con il cielo che ancora non mi sono deciso a fare. Evidentemente mi ha fatto da schermo cinematografico; il ricordo sfuma, e lentamente ritorno alla realtà.
La situazione ora è ribaltata: sul secondo binario della mia stazione c’è un E428 di seconda serie, in scala 1:160, e il “bestione” adesso sono io.
Dopo questo fiume di parole vi chiederete: dove vuole arrivare questo? Avete ragione. Sono finalmente riuscito a rendere tridimensionale quel sogno che mi ha accompagnato per tutti questi anni e volevo condividere con voi questa mia elaborazione realizzata partendo da una cassa dell’E.428 della del Prado con un consiglio: cercate di realizzare sempre i vostri sogni, non importa quanto ci impiegherete; l’importante è concretizzarli e la soddisfazione, ve lo garantisco, sarà immensa.
Carlo Mercuri
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