Il lato oscuro della fama

[marione]

Come sanno quanti mi conoscono, mi ha sempre interessato il mondo dello spettacolo sotto qualsiasi forma, e sono sempre stato un lettore di biografie ed autobiografie, scoprendo come sia possibile reperire elementi comuni nella maggior parte delle esperienze artistiche e vitali di gente di spettacolo: uno di questi, davvero inquietante, sta nel lato oscuro celato dietro la solarità, ma sempre presente e pronto a balzar fuori.
Vediamo subito qualche esempio, riferito ai grandi del passato: la generazione dei miei genitori era cresciuta con la bonarietà di Bing Crosby puntualmente riproposte ad ogni Natale con la sua sempre- verde 'White Chrismas' o glorificata nei suoi film, come 'Le campane di Santa Maria' in cui intepretava un sacerdote - insieme alla più splendente suora del cinema, Ingrid Bergmann.
Ebbene, come i biografi hanno ben chiarito, dietro a questa bonomia si celava un uomo solo, incapace di esprimere affetto verso i figli, coi quali mantenne un rapporto improntato al distacco e alla rigidità: il figlio Gary, bravo cantante ma oscurato dalla personalità paterna, soleva dire 'Bing e Dio apparivano come lo stesso tipo di individuo', e questo distacco impetoso lo rese un alcolizzato, morto di cancro nel 1995 pochi anni dopo altri due suoi fratelli, Lindsay e Dennis, entrambi suicidi ( la prima moglie, da lui molto trascurata, era protestante, ma si convertì al cattolicesimo sul letto di morte cosicchè Bing - nemmeno presente al capezzale mentre lei moriva - non avrebbe potuto rifiutarle il funerale cattolico). Amica e collega di Bing era Judy Garland, la Dorothy del 'Mago di Oz', scomparsa a soli 42 anni, che era viva unicamente a contatto col pubblico, fuga da una vita privata immersa nella desolazione, nella divorante solitudine, nel terrore esistenziale: in uno storico concerto del 1961 alla Carnegie Hall, fortunatamente registrato, così lei rispose alle richieste dei suoi pezzi più noti:" Li canterò tutti, rimarrò per tutta la notte, non me ne andrò mai via ... ".
Sembra una replica del celebre 'Vesti la Giubba' di Leoncavallo eternato dalla storica incisione di Enrico Caruso del 1902 che all'epoca vendette quattro milioni di copie: il verso di quell'aria "La gente paga e rider vuole qua" parrebbe il motto ideale per questi e tantissimi altri artisti, che nello sforzo di diventare artisti non hanno saputo, o voluto, diventare anche persone.
Triste, ma ahinoi vero.

Marione

[liftman]

Io credo che l'elemento comune che è alla base delle carriere degli artisti, ma anche degli sportivi o di qualsivoglia altra attività, anche un "comune" lavoro, sia innanzitutto "la voglia di", oltre ovviamente "l'attitudine a". Che uno sia potenzialmente un ottimo attore o un ottimo pilota di F1, deve comunque entrare nel "mondo" in cui vuol realizzarsi, per diventare poi un'icona per i comuni mortali, deve metterci le capacità personali e la dedizione, volendo anche un pizzico di fortuna.