COME REALIZZARE UNA PARETE ROCCIOSA CON IL SUGHERO
di Gian Luca Giovannini |

Innanzitutto, vorrei premettere che questo
articolo ha il solo scopo di partecipare ad altri le mie esperienze
modellistiche su di una pratica che ho sviluppato anni fa nel modellismo
statico che ritengo adattabile anche in quello ferroviario al quale mi sono
avvicinato solo da pochi anni (2008). Non ho certo la pretesa di voler
insegnare niente a nessuno anche perché non ne avrei le capacità, ma sono
fermamente convinto che il modellismo vero, quello dove la presunzione ed il
business vengono lasciati agli altri, sia basato sullo scambio reciproco di
esperienze ed impressioni con un unico scopo: contribuire a migliorare il
nostro impareggiabile hobby e perché no anche i nostri tanto cari lavori.
Prima di passare alle mie brevi e spero
utili note vorrei precisare che quanto di seguito indicato deve essere messo
in pratica sempre e solo adottando tutte le misure di sicurezza necessarie
(guanti, mascherine, occhiali, cavi, utensili ed apparecchiature elettriche
efficienti ed a norma, etc.) per evitare qualsiasi tipo di eventuale incidente
in quanto le attività indicate prevedono comunque l’utilizzo di attrezzature
che devono essere impiegate con la dovuta attenzione soprattutto, se da
minori, i quali devono operare in presenza di persone adulte.
GENERALITA’.
Un plastico ferroviario che preveda nel
suo insieme anche un'ambientazione con rilievi e, se possibile, ardui passaggi
in mezzo a pareti rocciose a picco superando crepacci e vallate su magnifici
ponti (il nuovo percorso ambientato in Svizzera della Wunderland Miniature di
Amburgo è un esempio ed anche... un sogno per molti di noi), penso sia un
aspetto ricercato da molti fer-modellisti.
A fronte di tanta bellezza vi è, però, la
necessità di realizzare delle pareti di roccia che molte volte, per la ricerca
di un realismo esasperato, comportano un tempo di lavoro che non ha del tutto
senso.
Ritengo, infatti, un contro senso quello
che se da una parte si accettano alcuni compromessi contraendo percorsi,
itinerari, riducendo i raggi di curvatura per le ovvie mancanze di spazio
dall’altra, invece, si ricerchi il particolare ad ogni costo quasi in maniera
maniacale. L’ambientazione di un plastico, a mio avviso, quindi, deve essere ,
in qualunque sua parte, un insieme armonico di elementi dove nessuno di essi
prevarica l’altro lasciando che l’attenzione del visitatore passi da un
particolare all’altro in un piacevole "continuum" dove la finzione,
inevitabile, si avvicina il più possibile alla realtà.
Particolare della parete con
alpinisti.

METODI PIU’ COMUNI.
Modellisti, senza dubbio
altamente più quotati del sottoscritto, hanno già speso fiumi di inchiostro
sull’argomento illustrando le numerose metodologie per la realizzazione delle
rocce, tutte ovviamente valide, alcune più complicate e/o più economiche di
altre.
Le più familiari sono:
- scolpire le rocce
direttamente sul gesso alabastrino;
- realizzare rocce con
colate di gesso sintetico (quello usato dai dentisti per i calchi delle
protesi dentarie) all’interno di stampi in gomma siliconica;
- ricoprire pezzetti di polistirene
opportunamente tagliato ed incollato con del gesso alabastrino da scolpire e
modellare prima del completo indurimento;
-
scolpire le rocce direttamente
sulla schiuma poliuretanica.
I metodi summenzionati sono maggiormente
efficaci se si hanno a disposizione modelli cui fare riferimento quali archivi
fotografici specifici. La fantasia non sempre aiuta completamente.
Un piccolo svantaggio: alcuni sono un po’
macchinosi (stampi, gesso per colata, dosaggio delle quantità della miscela,
asciugatura dei calchi, etc.).
Vediamo, velocemente, due di questi metodi prima
di passare all’argomento di queste brevi note.
A. Rocce scolpite.
Secondo la mia esperienza, la quantità di gesso
alabastrino da impiegare per assicurarne la modellabilità prima
dell’indurimento (10-12 minuti), è valutabile in circa 1-2 tazze da the di
gesso già pronto da lavorare. Il tutto viene cosparso con uno strato il più
uniforme possibile sulla superficie preventivamente inumidita con una miscela
di acqua ed alcune gocce di detersivo per piatti (scopo rompere la tensione
superficiale dell’acqua contenuta nell’impasto).
Una volta abbozzati avvallamenti e dossi si
passa, successivamente, a scolpire i dettagli nella fase di indurimento con
coltelli da modellismo, cacciaviti ovvero strumenti per modellare la creta,
etc.. La superficie, ancora leggermente umida, viene resa ruvida, come
rifinitura, impiegando uno spazzolino da denti. Tutto ciò ha un grosso
svantaggio: il peso.
B. Rocce stampate.
Per fare la "colata" si deve avere a
disposizione uno stampo sia auto costruito ovvero acquistato in gomma
siliconica.
Per l’autocostruzione si può optare per uno
stampo realizzato con un semplice foglio di alluminio accartocciato e riempito
di gesso ad uno leggermente più sofisticato realizzato con un certo numero di
strati gomma indurente all‘aria e garza chirurgica intorno ad una reale pietra
con funzioni di "master". Una volta ottenuti gli stampi si passa al
riempimento con il gesso.
Quello sintetico (foto a sinistra - utilizzato
per lavori odontoiatrici) è da preferire per la sua lavorabilità e la capacità
di riprodurre anche i minimi particolari qualora opportunamente pesato e
miscelato con acqua secondo precise proporzioni (foto a destra: bilancia,
gesso e stampo) indicate dal produttore.
La miscela viene versata nello stampo evitando
la formazione di bolle d’aria nella colata (nella foto è visibile la roccia
nello stampo).

Una volta che il gesso inizia a tirare, prima
che avvenga il totale indurimento si separa la colata dallo stampo e si mette
"la roccia" su di una superficie orizzontale sollevata dalla base di appoggio
fino a completo indurimento.

Completata l’essiccatura si incolla "la roccia"
al plastico utilizzando colla a caldo applicata con la specifica pistola a
caldo (metodo consigliato) e successivamente si colora.
C. Rocce in sughero naturale.
E’ un metodo facile da eseguire, alla portata di
tutti, e del quale cercherò di elencare, secondo me, i suoi numerosi vantaggi.
Il primo: il sughero (corteccia della quercia da
sughero) (FOTO 8 + 8 BIS, corteccia intera) è un materiale naturale, inerte,
stabile nel tempo, idrorepellente, innocuo a meno delle polveri da trattare
con la massima attenzione in quanto, data la loro estrema finezza, non
salubri. È d’obbligo indossare mascherine antipolvere durante la lavorazione.
A parte questo particolare, il sughero non ha bisogno di trattamenti
artificiali preventivi e successivi per il suo impiego. Tutto ciò non è poca
cosa!
Altro vantaggio: la sua leggerezza, certamente
da non sottovalutare, specialmente in presenza di plastici di dimensioni
importanti.
La naturale trama della corteccia permette di
realizzare lavori di fantasia con un notevole realismo.
La sua struttura, infatti, (frutto della natura
e non delle mani dell’uomo) ha trame che nella loro semplicissima naturalezza
possono riprodurre egregiamente strutture rocciose.

Normalmente, il colore è già molto simile a
quello della roccia, variando, a seconda della stagionatura e dalla zona di
prelievo, dal grigio (riconducibile a rocce tipo granito) a più calde tonalità
tra il marrone-castoro fino al beige (riconducibile a rocce tipo arenaria,
scisti, stratificate, etc.), facilmente ambientabili alle nostre latitudini,
con indubbio risparmio di tempo e denaro.
Nella foto sottostante, vediamo vari pezzi d
corteccia.

Ovviamente ci sono anche degli svantaggi. Uno di
essi potrebbe sembrare il costo; svantaggio che comunque si ridimensiona
notevolmente se si paragona all’antieconomico gesso sintetico in relazione
alle non trascurabili quantità necessarie per ogni colata. Per chi vive in
Sardegna, inoltre, (la Sardegna è un produttore a livello mondiale di sughero)
è possibile reperire la corteccia molto facilmente ed a prezzi irrisori ma
anche nelle regioni continentali vi sono certamente strutture di stoccaggio e
trattamento del sughero dove è possibile recuperare gli scarti della corteccia
(quello che a noi interessa maggiormente a differenza dei produttori) anche a
prezzi molto contenuti. Ma procediamo con calma.
A. Scelta dei pezzi da utilizzare.
Si devono scegliere quei pezzi di corteccia che
per "disegno, trama e tipologia" consideriamo adatti per il nostro lavoro. La
quasi impossibilità di trovare "disegni" uguali ma solamente simili tra loro
fa sì che la parete di roccia, al termine, presenti, nel suo insieme, delle
piacevoli e naturali variazioni di "disegno e trama".
I pezzi non devono essere né molto grandi né di
uguali dimensioni. Per quanto mi riguarda preferisco alternare pezzi più
grandi ad altri più piccoli, ottenendo, così, una naturale variazione di
"disegno e trama", simulando ottimamente i vari strati di roccia, anfratti,
fessure, etc..
Per quanto concerne il colore si devono cercare
pezzi di corteccia che si avvicinino il più possibile al colore delle rocce da
riprodurre (ad es.: una parete in granito vorrà pezzi di colore
prevalentemente grigi).
B.
Preparazione dei pezzi.
La corteccia deve essere preparata spazzolandola
energicamente (specialmente la parte che sarà la nostra parete di roccia) con
una spazzola in ferro asportando tutte le tracce di terra, erbetta e altre
impurità. È d’obbligo indossare la maschera antipolvere.
Successivamente, si passa ad una operazione che
personalmente non prediligo ma, sfortunatamente, fondamentale per affrontare
nel migliore dei modi la successiva fase di incollaggio: la riduzione dello
spessore della corteccia che personalmente, per
indisponibilità di mezzi meccanici idonei, faccio a mano con un segaccio.

Anche in questo caso è
d’obbligo indossare la maschera antipolvere.

Questa operazione consente di rendere i pezzi,
posteriormente, molto più lineari agevolandone il posizionamento e
l’incollaggio permettendone, altresì, la piegatura in presenza di superfici
curve. La "sbriciolatura" della corteccia deve essere recuperata ed i
pezzetti, messi da parte. Saranno riutilizzati per riempire gli spazi tra un
pezzo e l’altro arricchendo in maniera naturale ed interessante il "disegno e
la trama". Smaltire la polvere sigillandola in un sacco ed utilizzando per
tale operazione la consueta mascherina antipolvere.
C. Incollaggio dei singoli pezzi.
Preventivamente, è importantissimo pre-colorare
la superficie di base della parete con un colore acrilico di tonalità che io
chiamo "terra bagnata" (un raw umber leggermente schiarito con del raw sienna)
onde evitare che tra un pezzo e l’altro si possa poi intravedere un
antiestetico colore chiaro o bianco della superficie di base.

Quindi, si procede a posizionare a secco i
singoli pezzi lavorando per aree non eccessivamente estese. E’ una fase
essenziale per ottenere buoni risultati, per cui... niente fretta!!! Provare
fino a che non si trova il posizionamento più corretto, cercando di mantenere
costante il disegno della stratigrafia che si vuole realizzare.
Una volta che il risultato ci convince si passa
alla fase di incollaggio per mezzo di colla a caldo sicuramente la più
pratica, economica, efficace, pulita e di rapida presa.
Successivamente si passa al riempimento degli
inevitabili interspazi esistenti tra un pezzo di corteccia e l’altro. Si
impiegano tutti i pezzetti derivati dalla fase precedente di riduzione dello
spessore della corteccia. È un processo lungo, ancora una buona dose di
pazienza, ma, ritengo che il risultato finale ripaghi appieno gli sforzi
fatti.
D. Tocco finale.
Prima di passare alla colorazione della parete
si può cospargere, specie negli anfratti tra una roccia e l’altra, della
vermiculite (un materiale derivato dalla mica, naturale, molto leggero
utilizzato nell’edilizia e per la realizzazione di rettilari, per cui
reperibile in negozi di edilizia o di animali) mista a sabbia nel rapporto
rispettivamente di 3:1 circa. Il metodo di applicazione è simile a quello
usato per l’erba sintetica. Colla vinilica non diluita come fondo, cospargere
la mistura ed infine, sopra a quest’ultima una abbondante spruzzata (senza
esagerare) di colla vinilica diluita con acqua ed alcune gocce di detersivo
per piatti. Lasciare asciugare e rimuovere quanto non rimasto incollato.
E.
Colorazione della parete.
A questo punto, l’esperienza e le capacità
individuali artistiche e di sensibilità cromatica cioè quelle di saper
valutare al meglio le tonalità dei colori fanno la vera differenza. Non è
difficile, ma un modellista esperto riesce ad ottenere risultati certamente
migliori rispetto ad un principiante. Tuttavia niente di impossibile: volere
e’ potere!!
Solo alcune regole da seguire. La prima:
scegliere colori di base scelti che già simulino, grosso modo, il nostro
colore roccia.
Un accorgimento pratico: la colorazione finale è
bene che abbia una tonalità più chiara rispetto a quella reale consentendo di
"illuminare naturalmente" il paesaggio del nostro plastico compensando, in tal
modo, l’illuminazione artificiale degli ambienti, non sempre impeccabile.
Il metodo che vorrei cercare di illustrare, per
passi, è un misto di colorature, molto leggere quasi delle velature, e di
dry-brushing e lumeggiamenti delle superfici in rilievo. Si parte da un colore
di base per poi passare in successione a tonalità più chiare (anche due o più
livelli di tonalità superiore a seconda della luminosità ovvero "insolazione"
che si vuole simulare).
(1) Primo passo – trattamento
delle linee di separazione.
Spruzzare (bomboletta o aerografo) del colore
nero ovvero grigio scuro, ponendo attenzione, all’interno delle linee di
separazione tra uno strato di roccia e l’altro. Evitare, comunque, di
esagerare con il colore, quello che si deve ottenere è uno scurimento del
colore del sughero senza peraltro coprirlo completamente evitando
antiestetiche strisce di colore.
(2)
Secondo passo – trattamento
della superficie.
Spruzzare (bomboletta o aerografo) colori grigio
chiaro, marrone e verde, realizzando delle leggere velature equilibrando in
maniera uniforme i vari colori. Niente nette separazioni di colore, il tutto
deve essere un insieme armonico di passaggi graduali di colori, senza
repentini ed innaturali cambi di tonalità. Nella foto seguente, la parete di roccia ancora
da terminare.

(3) Terzo passo – dry-brushing con colori acrilici.
Si inizia dalle zone di giunzione, dalle fessure
e dalle zone in ombra utilizzando il colore roccia finale più scuro pari a
circa una tonalità in meno. Non bisogna insistere in singoli punti ma il
colore deve essere depositato con passate veloci di pennello cercando di
evidenziare le parti più scure. Per così dire, è come un lumeggiamento al
contrario con lo scopo di schiarire leggermente le fessura o le zone in ombra
anziché le parti in rilievo.
Lasciare asciugare i colori impiegati, quindi
iniziare la vera e propria azione di lumeggiamento con tonalità del colore
roccia sempre più chiare (1-2 tonalità in più rispetto al colore roccia base)
insistendo in particolar modo sulle parti in rilievo e sulle sporgenze.
(4)
Quarto passo –
realizzazione delle luci e delle ombre.
Lo scopo è quello di evidenziare al massimo le
sporgenze ed incrementare al massimo l’effetto profondità.
Si utilizza il colore roccia base schiarendolo,
di tonalità in tonalità (3 o anche più tonalità sopra il colore roccia base),
fino ad arrivare ad utilizzare del bianco titanio acrilico puro o, ancor
meglio, unito ad una punta di color crema. Il metodo è il solito, pennello
asciutto o dry-brush, insistendo sulle superfici superiori normalmente colpite
dalla luce e quindi più chiare in quanto fortemente illuminate (cliccare sulle
immagini per ingrandirle).
Attenzione nell’uso del bianco titanio. Non
bisogna esagerare a meno di non volere particolari che sembrino imbiancati
dalla neve.
L’effetto corretto è quando il particolare viene
messo in rilievo senza che sembri essere stato verniciato.
(5) Quinto passo – la sporcatura con le polveri di pastello colorato.
La "sporcatura" con la polvere di pastelli
colorati degli stessi colori e tonalità degli acrilici impiegati in precedenza
è l’ultima fase. Lo scopo è quello di cercare di amalgamare al meglio e
definitivamente i colori insistendo nei punti di accumulo naturale quali
anfratti, anse, fessure, etc..
(6)
Sesto passo - rifinitura.
Una volta completata la sporcatura si passa a
rifinire la nostra parete con cespugli, alberelli spontanei, erba, etc., prima
di "sigillare" il tutto con vernice trasparente opaca a spruzzo del tipo da
pittori o anche con lacca da capelli a finitura opaca (foto sotto) e, possibilmente,
inodore.

I COLORI.
Generalmente io utilizzo colori acrilici, nella
foto nell’ordine da sinistra verso destra):
-
Nero marte;
- Terra Siena naturale (Raw
Sienna);
- Ocra gialla (Yellow Ochre);
-
Terra d’Ombra naturale (Raw
Umber);
-
Verde vescica ((Sap Green);
-
Bianco titanio.

In aggiunta, in caso di ambienti desertici o per
rocce stratificate, si può usare:
- Giallo medio, Terra cotta o Rosso ossido
(ambienti desertici);
- Marrone-Rossiccio e
Giallo-Marrone (rocce stratificate).
I colori sopra menzionati, colori di base,
vengono mescolati tra di loro fino ad ottenere la tonalità di colore voluta,
più o meno scura o più o meno chiara, ovvero altro colore derivato dalla
miscelazione dei precedenti.
Sebbene per molti potrà essere superfluo,
ritengo opportuno richiamare l’attenzione sulle modalità per schiarire ovvero
scurire un colore.
I colori fondamentali (colori primari), in tutto
tre, non ottenibili per miscelazione ed indispensabili per la creazione di
tutti gli altri sono: giallo primario, blu cyan, rosso magenta.
Per scurire un colore in maniera corretta si
deve utilizzare il suo colore complementare che non e’ altro che la somma dei
due altri colori primari. Utilizzare il nero non è sempre corretto in quanto
comporta uno scurimento del colore originario con una tendenza al grigio.
I colori complementari sono:
- Rosso magenta: verde (giallo +
blu);
- Blu cyan: rosso arancio (rosso
magenta + giallo primario);
- Giallo: violetto (rosso magenta
+ blu cyan).
Il ragionamento fatto per i primari vale anche
per i secondari e così via.
Lo schiarimento, invece, cioè aumentare
(schiarire) la tonalità di un colore non sempre viene ottenuta con l’aggiunta
di bianco alla tonalità di base. Ad esempio, un verde potrà essere schiarito
con l’aggiunta di giallo e bianco e questo concetto è ancor più evidente con
il rosso. Un rosso, infatti, non dovrà essere mai schiarito con il bianco a
meno di non voler ottenere un rosa. Lo schiarimento giusto si ottiene con
l’utilizzo di un giallo ed un crema.
Tutto il contrario è invece per il blu dove il
bianco è perfetto per il suo corretto schiarimento.
L’argomento è troppo complesso ed articolato per
poter pensare di essere esaustivi in poche righe pertanto, ritenendolo nel
contempo molto importante, consiglio, per maggior chiarezza, per chi lo
volesse, di ricorrere alla consultazione di una tabella dei colori o a manuali
specifici.
CONCLUSIONI.
Cari Amici, prima di concludere, almeno per me,
questa piacevole "chiacchierata" che spero possa essere stata utile, non tanto
per le cose che posso aver suggerito (forse banali e conosciute ai più),
quanto per tutti gli spunti di discussione che posso aver sollevato e, perché
no, anche per le inevitabili (ma in genere costruttive) critiche cui potrò
essere soggetto, vorrei ringraziare vivamente Andrea (il webmaster) per la disponibilità
dimostrata e per l’occasione che mi ha voluto riservare. Grazie di cuore!
In ogni modo, Vi aspetto nel forum GAS TT per poter
intraprendere, con chi ne abbia voglia e tempo (il tempo è il vero tiranno
dei nostri giorni) un sano, proficuo, corretto ed appassionante scambio di
opinioni.
Grazie ancora della pazienza e... un cordiale
saluto!
Gian Luca "Littlejohn".
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