Storia e nascita del plastico riproducente il "Villaggio abbandonato" in località CASTELLAZZO DI BOLLATE…
Lo spunto per realizzare il mio secondo (ed ultimo?) plastico mi è stato dato dalla mia ragazza Micaela, che ha pensato, con intuizione a dir
poco geniale, di unire i miei tre hobby: ovvero, la passione per la mountain bike, l'attaccamento per un luogo (il borgo di Castellazzo) ed il
modellismo ferroviario, recentemente riscoperto.
Da molto tempo, cioè diversi anni, avevo maturato la convinzione che sul percorso cosiddetto "della polveriera", meta obbligata degli appassionati
locali di MTB, si fosse trovato, in tempi non troppo remoti, un vero e proprio paese, o, come preferisco chiamarlo io, un "villaggio abbandonato".
Tale convinzione è nata proprio durante le mie pedalate in bicicletta: nella parte di percorso ricoperta dal bosco e dalla brughiera, proprio nei
punti più fittamente ricoperti di vegetazione, cioè nel bel mezzo della boscaglia, si possono notare più o meno agevolmente elementi a dir poco
"incongrui": ossia, resti di massicciata ferroviaria, edifici in rovina in cui sono cresciuti alberi, residui di pavimentazione stradale e mattoni
inglobati nel terreno ora ricoperto dal bosco.
Su un largo spiazzo in terra battuta, attualmente recintato, è invece agevole vedere i resti di quelli che doveva essere stata la piazza
principale del paese, circondata tuttora da rovine di edifici.
Fuori dall'area considerata per il plastico, nel mezzo del bosco,
Un probabile deposito di rifornimento per acqua e/o carbone.
I residui della costruzione più grande a nord (Municipio?)
Tre edifici in successione ad est.
Questi racconti parlavano dell'esistenza, agli inizi del secolo, di un paese, poi abbandonato in seguito all'esplosione di una polveriera, che
aveva di fatto raso al suolo il centro abitato facendo numerose vittime.
Dopo che Micaela mi suggerì l'idea, decisi di procedere alle prime ricerche insieme a lei: in questo modo ci imbattemmo nel parroco di S.
Guglielmo in Castellazzo, padre Zoia, che confermò la mia ipotesi.
In verità altre pubblicazioni dell'Ente Parco Groane confermavano l'esistenza, agli inizi del secolo, di numerosi opifici nei confini dell'attuale
parco: ma la pubblicazione di Padre Zoia (Santuario della Madonna della Fametta di Castellazzo di Bollate, AA. VV., Studio due sas, Milano, 2010),
è stata del tutto illuminante in merito; per convincersi, basta dare un'occhiata alle numerose fotografie contenute nel libro e fare un semplice
raffronto per rendersi conto di ciò che il paese era stato, nonché per confermare l'esistenza di una ferrovia realmente dimenticata.
Visibili i resti della stazione (indicata negli orari d'epoca come "Torretta di Castellazzo")
In primo piano è visibile una locomotiva a vapore, presumibilmente tipo "T3". (foto archivio storico FNM).
Nell'ingrandimento si evidenzia l'indubbia presenza di un carro merci tipo "T", e probabilmente di un carro a stanti (scoperto).
In giallo è segnalata la polveriera.
Se a questo punto era giunta la completa certezza dell'esistenza di un paese, per giunta dotato di stazione ferroviaria, rimaneva solo da capire
in che modo il paese suddetto fosse stato distrutto e cancellato per sempre.
Il libro edito dal Parroco di Castellazzo fornisce una ricostruzione oltremodo completa.
Nei luoghi considerati sorgeva allora lo stabilimento della ditta "Sutter & Thevenot", destinato alla costruzione di granate.
In una foto d'epoca, sono rappresentate donne del luogo che caricano le bombe e le sigillano con la paraffina.
Il 7 giugno 1918, ore 13.50, nello stabilimento si verifica una terribile esplosione, udita a 30 km. di distanza, che provoca la rottura dei
vetri di case, scuole e chiese, in tutti i comuni limitrofi.
Tra i soccorritori che giungono da Milano c'è anche Hemingway, in un'unità della Croce Rossa Americana diretta al fronte, ma dirottata, mentre
fa tappa a Milano, sul luogo del disastro.
Il giorno dei funerali 10.000 persone assistono alle celebrazioni; i defunti vengono seppelliti nel cimitero di Bollate, essendo quello di
Castellazzo troppo piccolo.
È stata recentemente ritrovata l'insegna esposta durante le esequie: le vittime riconosciute furono 65, escludendo 24 casse "dove si erano
raccolti i miseri avanzi delle vittime ridotte in uno stato irriconoscibile" (Op. Cit. pag. 57).
3.0: il plastico
La decisione era quindi stata presa: non rimaneva che porla in atto…
Venivano svolti rilievi "a vista", cioè sul campo, almeno per avere un'idea delle dimensioni reali dei resti degli edifici.
Dopo questo si è passati alla fase realizzativa vera e propria, che non ha presentato particolari difficoltà: si trattava di ricostruire il paese
sulla base di elementi reali (i resti degli edifici), inserirli in un contesto ambientale appropriato (un piccolo paese della pianura Padana
degli inizi del 1900, immerso nella brughiera e circondato da boschi) e prevedere il materiale rotabile corretto, basandosi sulle notizie storiche
o documenti fotografici disponibili.
Va da sé che se l'ambiente è stato ricostruito in maniera abbastanza fedele, diciamo all'80%, la fantasia ha dovuto supplire laddove non è stato
possibile arrivare con le notizie a disposizione.
1: Villa Arconati e borgo, indicati col toponimo di "Castellazzo d' Arconate".
2: Santuario Madonna della Fametta (tuttora esistente).
3: area ove alla data attuale non c'è alcun rilievo collinare.
Una sinistra "coincidenza": a 5 minuti dalla tragedia, era previsto l'arrivo di un treno nella stazione del paese.
Stefano Curcurù e Micaela Rovagnati.
Materiale rotabile fornito da Sig. Franco Mastroserio di Cermenate (CO) e da Railship Milano.
In considerazione del fatto che i rilievi nel bosco continuano, e visto che sono stati individuati altri 3 resti di edifici (in pessime
condizioni), e considerato che ho intenzione di aggiungerli agli angoli del plastico con relative scenette e ambientazione, la fotostoria verrà
prossimamente aggiornata con nuove foto.
AGGIORNAMENTO NOVEMBRE 2013
Le esplorazioni nel bosco da parte mia e di Micaela sono continuate: nei luoghi su cui sorgeva il borgo, nelle parti più impervie della brughiera,
ormai completamente ricoperte di vegetazione e situate sia a nord che a sud della stazione ferroviaria (ancora in piedi ma ormai tristemente
abbandonata), sono stati individuati altri 3 ruderi…
Diciamo subito che a proposito di queste costruzioni manca qualsiasi documento storico: niente scritti o foto d'epoca, per cui abbiamo solo
potuto interpretare i resti degli edifici secondo la nostra fantasia.
Siamo riusciti a trovare solo una testimonianza: una signora ormai più che 80enne ricorda di aver sentito raccontare da sua madre "che subito
dopo la stazione c'era un'osteria".
Nella brughiera di Castellazzo le stagioni si susseguono l'una dopo l'altra: ogni giorno decine di treni carichi di pendolari passano accanto ai
resti del villaggio, ma probabilmente nessuno ha mai sentito la storia che abbiamo cercato di raccontare.
Il villaggio abbandonato trasmette, specie d'autunno ed inverno, molta malinconia, anche se i colori sono stupendi ed il posto è molto bello per
passeggiarvi o pedalare in MTB.
A me e Micaela (che ringrazio ancora quale prima ideatrice del plastico) piace comunque pensare di avergli ridato la vita che gli venne
violentemente rubata, sia pure in scala ridotta…
Ecco il rudere individuato in mezzo alla vegetazione: è l'edificio che è stato identificato (sia pure in via presunta) come "l'osteria".
All'osteria si festeggia.
La cuoca osserva soddisfatta, mentre poco dopo transita una 880 diretta verso Saronno.
Le galline beccano tranquille il loro granoturco… per il momento!
L'ingegnere accompagnato dal proprio cagnolino discute con gli operai circa la manutenzione della linea.
In più sono arrivate tubolature di ricambio proprio per la 880!
Abbiamo ipotizzato trattarsi di un'abitazione, e di conseguenza abbiamo creato questa scenetta, mentre passano una T3 ed una 880, dirette verso
Milano.
Nessun elemento di paesaggio è riconoscibile dopo la catastrofe, per cui non ho alcuna certezza sul dove e come la foto sia stata scattata.
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